Anticorpi primitivi per diagnosi e cura delle infezioni

Anticorpi primitivi per diagnosi e cura delle infezioni

Review Humanitas su cellule immunità innata pubblicata sul Nejom


(ANSA) - ROMA, 10 FEB - Sono uno strumento di diagnosi ormai consolidato, ma il loro livello nel sangue ha anche grande valore di prognosi per molte malattie, infiammatorie o autoimmuni. Si tratta delle molecole dell'immunità innata, al centro di una review curata da Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e da Cecilia Garlanda, responsabile del laboratorio di Immunopatologia Sperimentale di Humanitas. Lo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine (Nejom), fa il punto sulle conoscenze su questa classe di molecole e sulle potenzialità che offrono.
    Le prime molecole dell'immunità innata furono isolate quasi un secolo fa e oggi sono usate in clinica come indicatori diagnostici e prognostici di infiammazione: il loro livello nel sangue, ad esempio, permette di misurare lo stato infiammatorio e di prevedere l'evoluzione della malattia. Grazie alla ricerca condotta negli ultimi decenni, e in particolare ad alcuni studi svolti proprio dai ricercatori dell'IRCCS Istituto Clinico Humanitas, oggi sappiamo che queste molecole, una volta attivate dall'incontro con un patogeno, svolgono un ruolo di primo piano: combattono l'infezione, riconoscendo l'intruso, segnalandolo e ostacolandone l'azione come degli "anticorpi primitivi", e coordinano la rigenerazione dei tessuti".
    "Abbiamo ritenuto importante mettere a fattor comune tutte le conoscenze sulle molecole della nostra prima linea di difesa a beneficio dei medici e delle future generazioni di clinici, che si trovano ad utilizzarle per diagnosi e terapie, a volte senza aver piena percezione del loro potenziale - spiega Mantovani -.
    Le molecole dell'immunità innata sono infatti protagoniste di alcuni importanti azioni di difesa quando l'organismo è sotto attacco infiammatorio, come nella sepsi o in caso di grandi traumi, ma anche di malattie neurodegenerative o autoimmuni".
    "I dati delle ricerche di questi anni - sottolinea Garlanda - ci dicono che queste molecole possono fare molto di più come target terapeutici ancora in larga parte poco esplorati".
    (ANSA).
   

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