Car-T Cell, la rivoluzione è appena iniziata


Forse il paragone è azzardato, ma secondo alcuni le nuove terapie da poco introdotte anche in Italia contro leucemie e linfomi hanno lo stesso valore della scoperta della penicillina.

A fare il punto su questo rivoluzionario e promettente approccio terapeutico ci hanno pensato stamattina Paolo Corradini, Presidente Società Italiana di Ematologia e Direttore della Divisione di Ematologia della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Cattedra di Ematologia dell’Università degli Studi di Milano e Franco Locatelli, Presidente del Consiglio superiore di Sanità e Direttore del dipartimento di Onco-ematologia pediatrica, terapia cellulare e genica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. La cornice è il 1° Workshop italiano sulle Car-T Cells, che si è tenuto a Milano e che ha visto anche la partecipazione di Carl June, direttore del Center for Cellular Immunotherapies dell’Università della Pennsylvania e pioniere delle Car-T Cells

Una vera e propria innovazione

Partiamo dai numeri: in Italia 800 adulti e 40 i bambini con un tumore del sangue, a breve, potrebbero beneficiare della Car-T Cell. Fra tutti i pazienti eleggibili alla terapia, la percentuale di guarigione è pari al 40, se non addirittura 50 per cento. Stiamo parlando di tumori del sangue che sono considerati “inguaribili”.

La terapia Car-T (acronimo che sta per Chimeric Antigen Receptor T-cell) è una strategia immunoterapica di ultimissima generazione che utilizza i linfociti T ingegnerizzati per attivare il sistema immunitario contro il tumore. «I linfociti T del paziente vengono prelevati e successivamente geneticamente modificati in laboratorio in modo da renderli capaci di riconoscere le cellule tumorali: quando vengono restituiti al paziente entrano nel circolo sanguigno e sono in grado di riconoscere le cellule tumorali e di eliminarle attraverso l’attivazione della risposta immunitaria» ha spiegato Corradini.

La terapia con cellule Car-T è a oggi riservata a pazienti che hanno fallito i trattamenti convenzionali. «L’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha approvato la terapia con cellule Car-T nei pazienti fino ai 25 anni di età con leucemia linfoblastica acuta a differenziazione B cellulare (LLA-BCP) in seconda ricaduta di malattia o con malattia refrattaria ai trattamenti convenzionali o in prima ricaduta post trapianto emopoietico e nei pazienti adulti affetti da linfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL) e da linfomi primitivi del mediastino (PMBCL) a grandi cellule B refrattari o resistenti a due o più linee di terapia sistemica» ha aggiunto Locatelli.

Si tratta perciò di un nuovo e complesso approccio terapeutico contro la malattia, destinato solo a pazienti selezionati, possibile grazie a farmaci molto costosi e che richiedono quindi l’approvazione degli enti governativi preposti, nel caso dell’Italia l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). «In Italia i pazienti potenziali con linfoma potrebbero essere 300–400 all’anno ed al momento è solo disponibile l’uso compassionevole di una delle due CAR-T che consente di trattare un paziente al mese presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori».

In uno studio condotto all’Ospedale Bambino Gesù di Roma basato sull’impiego delle cellule Car-T nelle LLA-BCP e nei linfomi a cellule B, «la terapia ha mostrato una risposta decisamente favorevole nei 15 pazienti trattati con percentuali di ottenimento della remissione di malattia superiori all’80%», ha illustrato Locatelli. «Anche i primi dati di risposta iniziale nei bambini con neuroblastoma sono promettenti e inducono largamente a proseguire sulla strada intrapresa».

Quali sono gli effetti collaterali?

La terapia con cellule Car-T è perciò in grado di offrire una concreta possibilità di cura definitiva a quei pazienti che, avendo fallito i trattamenti convenzionali, non avrebbero ulteriori possibilità terapeutiche disponibili. Tuttavia al momento la terapia non è del tutto priva di rischi.

«I possibili effetti collaterali che sono stati osservati sono la sindrome da rilascio citochinico e gli effetti avversi neurologici. La sindrome da rilascio citochinico è legata all’attività delle Car-T e può presentarsi in circa il 25% dei pazienti con febbre molto alta, abbassamento della pressione, difficoltà respiratorie e insufficienza renale», ha evidenziato Corradini. La mortalità di questo trattamento è circa del 5%. Per questo è fondamentale muoversi tempestivamente ai primi segni di sviluppo di questa complicanza e con le terapie appropriate (farmaci corticosteroidei o anticorpi che bloccano le citochine coinvolte nella fisopatologia di questa condizione).

«Quest’osservazione sottolinea l’importanza che la terapia con cellule Car-T venga eseguita in Centri selezionati ad alta qualificazione e con esperienza specifica. Un’altra temibile complicanza della terapia con cellule Car-T è costituita dalla neurotossicità, che, in rarissimi casi occorsi in soggetti adulti, è risultata essere anche fatale. Per aumentare la sicurezza delle Car-T nel nostro trial accademico, durante la generazione dei linfociti T, abbiamo sviluppato una modifica: l’aggiunta di un gene, chiamato suicida, che si attiva in caso di mancata risposta a terapie farmacologiche della sindrome da rilascio citochinico, piuttosto che della neurotossicità, determinando la pronta eliminazione delle cellule Car-T» ha concluso Locatelli.

Infine, se a oggi le Car-T non si utilizzano in prima linea, si sta lavorando per anticiparne la somministrazione. In un futuro non lontano, la terapia cellulare potrebbe diventare la base del trattamento per molte tipologie di tumore. E in Italia?

«Speriamo che l’autorizzazione dell’Aifa arrivi quanto prima per poter iniziare a trattare dei pazienti entro la fine dell’anno», ha dichiarato Corradini. «Non abbiamo a che fare con un farmaco, ma con una complessa procedura di terapia cellulare che, in caso di fallimento di precedenti terapie, può costituire l’unica opzione salvavita».

All’orizzonte i tumori solidi?

«Non è da escludere che in un prossimo futuro questo approccio possa essere esteso anche ai tumori solidi, alcuni studi sono in corso» ha commentato Locatelli. «Certo allo stato attuale ci sono ancora molti ostacoli, i tumori solidi tendono a difendersi dal sistema immunitario e questo potrebbe ridurre l’efficacia delle Car-T cell. E poi spesso sono “immersi” in un ambiente povero di ossigeno, cosa che frena l’azione dei questi linfociti T. Ma non escludo che sulla base di questo approccio si possa trovare la soluzione anche per tumori diversi da quelli ematologici».