Nel 2024, i migranti (persone nate
fuori dal Paese di residenza) costituivano il 55,7% dei casi di
infezione da Hiv di origine nota in Europa. Dal 2015 al 2024, la
percentuale di diagnosi tra i migranti è aumentata del 45,4%.
Inoltre, è stato dimostrato che, sebbene il loro rischio di
mortalità sia simile, rispetto alle popolazioni non migranti in
Europa, i migranti sono a maggiore rischio di sviluppare l'Aids,
interrompere il trattamento, non seguire i follow-up e non
raggiungere la soppressione virale. Queste disparità sono più
pronunciate tra i migranti provenienti dalla regione africana. È
quanto emerge dal report 'Hiv/Aids surveillance in Europe'
dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e del Centro
europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc),
che forniscono alcune raccomandazioni per arginare il fenomeno.
"I Paesi dovrebbero sviluppare, attuare e ampliare strategie per
migliorare l'accesso ai test dell'Hiv e garantire un rapido
accesso alle cure per i migranti. Le prove indicano che molti
migranti, compresi quelli provenienti da regioni ad alta
presenza del virus, contraggono l'Hiv dopo l'arrivo nell'Ue/See.
Ciò evidenzia l'importanza di campagne di prevenzione e
informazione mirate e non stigmatizzanti all'arrivo o subito
dopo; offrendo il test dell'Hiv come parte delle valutazioni
sanitarie di routine per i nuovi arrivati e fornendo servizi di
salute sessuale continui, culturalmente e linguisticamente
personalizzati (inclusi autotest, test comunitari/di
sensibilizzazione e inizio della terapia antiretrovirale rapida,
indipendentemente dall'assicurazione o dallo status legale).
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