(di Manuela Correra)
Valutare l'aggressività di un tumore
e la sua resistenza alle terapie per 'tarare' al meglio i
trattamenti. Un obiettivo che ci si propone di centrare grazie
all'utilizzo di un nuovo parametro, messo a punto partendo
dall'osservazione della velocità con cui il Dna muta,
soprattutto nelle metastasi tumorali. Lo studio è firmato dai
ricercatori dell'Istituto di Candiolo-Ircss e promette di avere
ripercussioni importanti sulla vita dei pazienti. Per questo si
è guadagnato la copertina della rivista Science Translational
Medicine.
Il risultato è stato ottenuto sotto la guida di Andrea
Bertotti e Livio Trusolino, responsabili del Laboratorio di
Oncologia Traslazionale e ordinari di Istologia presso il
dipartimento di Oncologia dell'Università di Torino. I
ricercatori hanno usato organoidi di tumori del colon - repliche
tridimensionali in miniatura da campioni di pazienti donatori -
per calcolare appunto i tassi di mutazione del Dna durante lo
sviluppo e la progressione del cancro, dimostrando che la
velocità di mutazione del Dna tumorale aumenta nelle metastasi,
con importanti implicazioni per la comprensione dei meccanismi
di evoluzione neoplastica. I risultati, affermano gli autori
dello studio, aprono nuove prospettive per applicare il calcolo
del tasso mutazionale come parametro di valutazione
dell'aggressività tumorale e della resistenza alle terapie.
Nello studio, spiega Trusolino, "abbiamo scoperto che non solo
le mutazioni si accumulano con velocità estremamente variabili
nei tumori di pazienti diversi, ma si generano con maggiore
intensità nelle lesioni più avanzate, tipicamente le metastasi".
Nel lavoro i ricercatori hanno analizzato l'intero genoma di
organoidi tumorali, ovvero di 'mini-colon' ottenuti da campioni
prelevati dai pazienti, al tempo zero di inizio esperimento, e
lo hanno confrontato con quello degli stessi organoidi dopo sei
mesi e un anno di propagazione continua del tumore. "Abbiamo
sottratto le mutazioni presenti al tempo zero da quelle presenti
alla fine per identificare quelle accumulate ex novo, e abbiamo
diviso il loro numero per il numero di duplicazioni cellulari.
In questo modo, abbiamo calcolato il tasso mutazionale, che si è
rivelato molto eterogeneo e sistematicamente più alto negli
organoidi ottenuti da lesioni avanzate in confronto a organoidi
da tumori più precoci", spiega Elena Grassi, responsabile del
team di analisi bioinformatiche, che ha coordinato gli studi
molecolari. Un tumore che progredendo assomma mutazioni a
velocità crescente ha anche sempre più frecce al suo arco. "Un
tumore che muta sempre di più acquista nuove abilità che lo
rendono più plastico e resiliente a sopportare gli insulti
terapeutici", commenta Bertotti.
Lo studio ha risvolti sostanziali: i ricercatori hanno
osservato che le nuove mutazioni che si stratificano nel tempo
durante la progressione tumorale lasciano un'impronta molecolare
che può essere catturata non solo negli organoidi a fine
esperimento, ma anche nei campioni diagnostici dei tumori dei
pazienti. "Il nostro prossimo obiettivo è analizzare la
pervasività di questa impronta - conclude Bertotti - per cercare
di datare il momento in cui il tumore è iniziato. Questo ci
permetterà di distinguere, a parità di età dei pazienti, tumori
insorti precocemente e progrediti lentamente rispetto a tumori
che si sono manifestati in tempi più recenti, ma hanno subito
un'evoluzione rapida. Lo scopo è capire meglio quali sono gli
elementi che distinguono i tumori più aggressivi da quelli più
indolenti, con l'obiettivo di focalizzare al meglio lo sviluppo
di nuovi approcci terapeutici".
Lo studio è stato condotto in collaborazione con l'Institute
of Cancer Research di Londra e centri di ricerca di Milano
(Ifom, Human Technopole, Ospedale Niguarda, Istituto Nazionale
Tumori, Istituto Europeo di Oncologia) ed è stato finanziato dal
programma 5x1000 dell'Airc e dalla Fondazione Piemontese per la
Ricerca sul Cancro.
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