Future terapie per guarire dal virus Hiv potrebbero aumentarne l'incidenza nella popolazione se ad esse fosse associato a un significativo rischio di recidiva negli individui trattati. Al contrario se queste nuove potenziali cure dovessero essere scevre dal rischio di reinfezione, potrebbero ridurre in modo importante l'incidenza cumulativa di infezioni da HIV tra persone a rischio fino al 60% in soli 10 anni dall'introduzione di una cura di questo tipo.Lo indica lo studio italiano pubblicato sulla rivista Nature Communications e basato su due diversi scenari, relativi alla presenza o all'assenza del rischio di recidive connesse all'uso futuro di questi farmaci.
Nato dalla collaborazione tra il Centro Health Emergencies guidato da Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler e l'Università di Utrecht, lo studio si basa sull'uso di un modello matematico calibrato sui dati relativi all'infezione da virus Hiv tra uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini nei Paesi Bassi. Le terapie antiretrovirali attualmente in uso contro l'infezione da Hiv permettono di controllare la replicazione del virus, garantendo alle persone sieropositive una aspettativa di vita normale e bloccando totalmente la possibilità di trasmissione se il virus non è rilevabile nel sangue. Tuttavia, queste terapie devono essere mantenute per tutta la vita per tenere a bada il virus.
La ricerca biomedica sta sperimentando nuovi farmaci con l'obiettivo di eradicare definitivamente il virus dall'organismo, o quantomeno di impedirne la recidiva per svariati anni dopo la somministrazione. Lo studio indica però che l'adozione di terapie che presentino un rischio di recidiva dopo alcuni anni potrebbe invertire i grandi progressi fatti nel controllo dell'Hiv, aumentandone l'incidenza nella popolazione.
Il punto è che se con queste nuove terapie c'è il rischio che l'infezione si ripresenti e che possa essere trasmessa ad altri prima che la persona sappia di avere una recidiva. Il modello mostra che ciò è possibile anche nell'ipotesi di monitorare frequentemente gli individui che hanno preso il farmaco, osserva l'autore della ricerca Giorgio Guzzetta.
Viceversa, lo studio ha mostrato come terapie a zero rischio di recidiva potrebbero ridurre in modo importante l'incidenza cumulativa di infezioni Hiv tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini nei Paesi Bassi fino al 60% in soli 10 anni dalla loro introduzione.
"L'aumento di incidenza nel caso di recidiva dipende da quante persone vengono trattate ed è tanto maggiore quanto più è rapida l'insorgenza delle recidive – spiega all’ANSA Merler. Inoltre, dipende anche dall'introduzione di eventuali strategie di monitoraggio aggiuntivo degli individui curati per intercettare le recidive più rapidamente. Ad esempio, nell'ipotesi di una recidiva che insorga in media 6 anni dopo la cura, e circa l'80% della popolazione HIV-positiva riceva i nuovi farmaci senza alcun monitoraggio aggiuntivo, ci si può aspettare che l'incidenza cumulativa delle nuove infezioni in 10 anni sia circa doppia con le nuove terapie. D'altra parte, introdurre un monitoraggio ogni 3 mesi permetterebbe una riduzione media dell'incidenza del 13%. In caso di recidiva precoce a 2 anni dal trattamento – continua - si potrebbe osservare un incremento medio dell'incidenza del 260% (quasi triplicata) senza monitoraggio e del 50% anche in caso di monitoraggio trimestrale."
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