Covid: anziani più a rischio per deficit cellule immunitarie

Covid: anziani più a rischio per deficit cellule immunitarie

Caratteristiche descritte da studio italiano di Unimore


(ANSA) - BOLOGNA, 21 GIU - È stato evidenziato fin dall'inizio della pandemia di Sars-Cov2 che l'età avanzata rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo della forma severa della sindrome Covid-19, oggi un nuovo studio descrive quali sono le principali caratteristiche immunitarie delle cellule presenti nel sangue e nei polmoni dei pazienti ultra 70enni che contribuiscono alle forme gravi di Covid-19, portando all'intubazione o alla morte. Il lavoro di ricerca è stato condotto da un team di Unimore, coordinato dal professore Andrea Cossarizza, insieme a Sara De Biasi e a Domenico lo Tartaro.
    Lo studio, pubblicato su Communications Biology, ha analizzato 64 pazienti con grave infezione da SarsCov-2, dei quali 31 con età maggiore di 70 anni e 33 con età inferiore ai 60 anni. La quantificazione di oltre 60 molecole solubili e la precisa identificazione delle principali sottopopolazioni dei globuli bianchi, spiegano i ricercatori, hanno permesso di osservare che i pazienti anziani con Covid-19 grave hanno differenti livelli plasmatici di decine di citochine (molecole proteiche) sia infiammatorie, sia anti-infiammatorie, diverse proporzioni di cellule mononucleate del sangue periferico, e una diversa qualità delle cellule T, sentinelle in grado di 'ricordare' il nemico (un virus ad esempio) e di far scattare una risposta immunitaria.
    La ricerca, spiega Sara De Biasi, "suggerisce che l'infiammazione, unita all'incapacità di montare una risposta antivirale adeguata, potrebbe esacerbare la gravità della malattia e il peggior risultato clinico nei pazienti anziani".
    "Aver chiarito i meccanismi molecolari che vengono attivati nella fase finale e più drammatica dell'infezione da SarsCov-2 - aggiunge Andrea Cossarizza - è un ulteriore tassello nella comprensione della patogenesi di questa infezione. Va sottolineato che quanto abbiamo descritto in questo studio è accaduto nel primo anno della pandemia, quando ancora non c'erano i vaccini, il cui uso ha permesso di salvare milioni di persone, soprattutto quelle anziane e fragili. Ma l'attenzione non deve calare, dato che purtroppo ancora oggi vediamo quadri di questo tipo nelle persone che non si sono vaccinate". (ANSA).
   

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