La lotta all'Hiv nel mondo continua a
fare progressi, tuttavia non alla velocità sperata.
Complessivamente lo scorso anno 1,3 milioni di persone hanno
contratto l'infezione, il 39% in meno rispetto al 2010.
Aumentano le persone che ricevono il trattamento
antiretrovirale, che ha raggiunto i 30,7 milioni, pari a circa
il 75% delle persone sieropositive (era il 47% nel 2010).
Scendono anche i decessi, dimezzati in 15 anni. Tuttavia il loro
numero resta ancora elevato: 630 mila all'anno, pari a poco più
di 1 al minuto. Sono i dati che emergono dal rapporto annuale
dell'Unaids, il programma delle Nazioni Unite per l'Hiv e
l'Aids, che tuttavia mette in guardia: le risorse investite nei
prossimi anni e la qualità delle politiche messe in atto
determineranno la traiettoria dell'epidemia.
Il rapporto ('The Urgency of Now: Aids at a Crossroads')
mostra molti trend positivi. Su scala globale, scendono le nuove
infezione nelle adolescenti e le giovani donne; si riduce la
trasmissione da mamma a nascituro grazie al migliore accesso
alle terapie; per la prima volta si sono registrate più
infezioni fuori dell'Africa sub-sahariana che nell'Africa
sub-sahariana che da anni è l'epicentro dell'epidemia.
Tuttavia, non mancano le criticità: i contagi hanno ripreso a
crescere in alcune aree del mondo (Europa orientale e Asia
centrale; America Latina; Medio Oriente e Nord Africa). Non si
attenuano le diseguaglianze di genere, con le donne che in
alcune aree del mondo (specie in Africa) sono le principali
vittime dell'infezione. Insieme a loro, alcune minoranze
(lavoratrici del sesso, uomini che hanno rapporti sessuali con
uomini, persone che si iniettano droghe) vittime di stigma. Un
fenomeno, questo, che non solo le rende particolarmente
vulnerabili al virus Hiv, ma che contribuisce ad alimentare
l'epidemia.
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