Mezzo secolo fa un team di chirurghi in Texas ebbe l'intuizione di realizzare la prima protesi che sostituisce il sistema idraulico del pene. Ma a distanza di 50 anni l'intervento oggi sicuro ed efficace, fondamentale per tanti uomini colpiti da tumore alla prostata, non è ancora inserito nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) del nostro Paese. Così, per i limiti di budget, solo poche strutture pubbliche lo assicurano e appena il 10% degli italiani che hanno bisogno di una protesi peniena riesce a farsi operare in ospedale per tornare a una normale attività sessuale. Il restante 90% è costretto a ricorrere al privato.
L'intervento, è la richiesta degli esperti della Società Italiana di Andrologia (Sia) dal congresso nazionale in corso a Roma, "deve essere inserito quanto prima nei Lea perché non sono più accettabili differenze di genere nei trattamenti oncologici, nonostante il problema riguardi migliaia di uomini e imponga un decisivo cambio di passo". Ogni anno in Italia, infatti, circa 20mila uomini vengono sottoposti a un intervento di rimozione radicale della prostata a seguito di un tumore e di questi, almeno 10mila vanno incontro a disfunzione erettile con indicazione all'impianto di protesi peniena per risolverla. Ma la maggior parte dei candidati non ha accesso alle cure perché escluse dal nuovo decreto tariffe e le Regioni non sono tenute ad erogarle. Così, denunciano gli andrologi, sono pochissimi gli impianti a disposizione, in altrettanti pochi centri pubblici, distribuiti in modo disomogeneo sul territorio. Le protesi peniene "non sono un vezzo o un lusso ma un diritto per continuare una normale e degna vita di coppia quando le terapie mediche falliscono - dichiara Alessandro Palmieri, presidente Sia -. Tuttavia, contrariamente a quanto ormai consolidato per le donne, per cui da tempo è prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie, a seguito di una mastectomia, gli uomini non ricevono lo stesso trattamento dopo una chirurgia pelvica radicale". Stando ai dati del Registro nazionale della Sia, a fronte di 3000 richieste, le protesi erogate sono circa 400 l’anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro. La Sia rinnova dunque l’appello al ministero e alle Regioni affinché sia modificato il decreto tariffe recentemente approvato e l’intervento di protesi peniena venga inserito quanto prima nei Lea. Al congresso, illustrati anche i modelli delle protesi del futuro: dalla prima protesi nel 1973 la ricerca in campo chirurgico e nella produzione di device ha fatto passi da gigante e oggi punta a realizzare protesi touchless, capaci di funzionare senza pompetta, di utilizzo più agevole. Per il futuro si sta studiando anche un altro meccanismo che permette di innescare la funzione di erezione per induzione termica. Sempre più vicine sono dunque protesi innovative che saranno attivate da un neurotrasmettitore o da un elettromagnete.
La prima protesi al pene 50 anni fa, pochi la ottengono dopo un tumore dal Ssn
Andrologi, 'non è un vezzo ma diritto. Sia nei Lea'
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